EXODUS – “Exhibit B: The Human Condition” (Nuclear Blast)

Nato sotto i peggiori auspici, il ritorno sulle scene degli Exodus si è poi rivelato come uno dei pochi dotati di senso nella pletora di reunion patetiche e inutili che ha afflitto la scena metal negli anni duemila. Il quintetto di San Francisco si era rimesso in piedi una prima volta nel 1997 con la formazione di “Bonded By Blood” (escluso il bassista Rob McKillop, sostituito da Jack Gibson). La band va in tour, pubblica un live ma rientra presto in una fase di stallo che dura fino al 2001. L’anno dopo quel simpatico sbevazzone di Paul Baloff ci lascia le penne e, come già era avvenuto nel 1986, gli subentra dietro il microfono Steve “Zetro” Souza. Nel 2004, finalmente, esce lo spettacolare “Tempo of the Damned”, primo album in studio degli Exodus dopo dodici anni, nonchè il disco che ogni vero thrasher aspettava da tempo immemore. Nonostante il successo di “Tempo…”, la band rischia subito di andare a puttane, complice l’eccessiva passione dei suoi membri per droghe non propriamente leggere. Souza e il chitarrista Rick Hunolt se ne vanno sbattendo la porta, mentre il batterista Tom Hunting si prende una pausa forzata di due anni a causa di una brutta crisi depressiva. Gary Holt, unico superstite della formazione originale, non si perde d’animo e arruola Lee Altus, già negli Heathen, alle sei corde, l’ex tritapelli degli Slayer Paul Bostaph e lo sconosciuto cantante Rob Dukes. Il platter che ne viene fuori, “Shovel Headed Kill Machine”, è forse addirittura superiore al suo predecessore. Il successivo “Exhibit A: The Atrocity Exhibition”, pregevole ma decisamente meno eccitante, riceve invece un’accoglienza un po’ freddina. Certo, però, che non si può pretendere che delle vecchie glorie della Bay Area, dopo quasi trent’anni di carriera, sfornino sempre dischi della madonna. Mi basta un buon album, come questo “Exhibit B”, che non farà sfracelli ma è assolutamente degno del nome che porta in copertina.

Credo che la grande forza degli Exodus stia nell’essere riusciti ad aggiornare il proprio sound senza perdere la propria identità e, soprattutto, continuando ad avere qualcosa da dire. Al di là di qualche estemporanea concessione alle nuove tendenze made in Usa (“Democide”), “Exhibit B” resta fedele ai canoni del Bay Area style nell’inconfondibile riffing di Holt, nei serratissimi pattern di batteria, negli assoli velenosi e nei cori anthemici, senza, però, risultare mai datato o stantio. Sono infatti dannatamente moderni i suoni (eccellente la produzione di Andy Sneap), gli arrangiamenti e alcune soluzioni compositive (le chitarre stoppate della devastante “Downfall”), che esaltano una carica distruttiva e una cattiveria che gli anni non hanno affievolito. Non manca qualche sbadiglio (complice la durata dei pezzi, che spesso e volentieri superano i sette minuti, fino ai quasi 10′ di “The Sun Is My Destroyer”), ma nè il nostalgico degli anni ’80 nè il ragazzino cresciuto a pane e Lamb of God potranno resistere ai mid-tempo assassini di “March of the Sycophants” e “Nanking” o alla furia esagitata di “Burn Hollywood Burn”. I fan lo consumeranno, gli altri gli diano una chance. (Ciccio Russo)

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